Il migrante irregolare è colui il quale:
“a) ha fatto ingresso eludendo i controlli di frontiera;
b)
è entrato regolarmente nel paese di destinazione, ad esempio con un visto
turistico, e vi è rimasto dopo la scadenza del visto d’ingresso (diventando un
cosiddetto ‘overstayer’); o
c) non ha lasciato il territorio del paese di destinazione
a seguito di un provvedimento di allontanamento”[1].
L’appartenente a questa categoria viene spesso – e
impropriamente, a detta dell’Associazione Carta di Roma e dell’UNHCR – bollato
con il termine di “clandestino”:
“Che è fatto di nascosto, e si dice per lo più di cose fatte
senza l’approvazione o contro il divieto delle autorità”[2]; “Fatto di nascosto, in segreto, spec. di ciò che viola le
leggi vigenti o non ha l’approvazione di un’autorità”[3]; “Che è fatto segretamente […]. Che è fatto segretamente
perché vietato”[4]; “Che ha carattere di segretezza in quanto difforme dalla
legge o dalle norme sociali e quindi perseguibile giudizialmente o condannabile
moralmente”[5].
La presunta sinonimia tra “irregolare” e “clandestino” è
smentita con veemenza dall’Associazione Carta di Roma, che definisce il termine
“sbagliato”, in quanto esso
“contiene un giudizio negativo aprioristico, suggerisce
l’idea che il migrante agisca al buio, di nascosto, come un malfattore. È un
termine giuridicamente sbagliato per definire chi tenta di raggiungere l’Europa
e non ha ancora avuto la possibilità di fare richiesta di protezione
internazionale, e chi invece ha fatto la richiesta ed è in attesa di una
risposta (i migranti / richiedenti asilo); ed è un termine giuridicamente
sbagliato anche per definire chi ha visto rifiutata la richiesta d’asilo e ogni
altra forma di protezione (gli irregolari).
Ma, soprattutto, il termine
clandestino è una delle colonne portanti dei discorsi di odio, dell’hate speech;
è uno strumento della cattiva politica, un termine usato dalla propaganda della
paura per dare un nome al 'nemico', per seminare odio e per sollecitare una
reazione di rifiuto che sempre più spesso si trasforma in violenza. È un
termine che sostiene la teoria secondo la quale l’immigrazione è essenzialmente
un problema di ordine pubblico e di sicurezza, mentre le statistiche ci
raccontano una realtà molto diversa”[6].
L’abuso di tale parola oggi avviene in maniera lievemente
inferiore rispetto agli anni precedenti[7],
nel periodo in cui era stata “istituzionalizzata” dalla legge Turco –
Napolitano, che appunto utilizzava esplicitamente il vocabolo “clandestino”,
seppur come aggettivo (“immigrazioni clandestine”[8]).
In seguito a questa legge, anche il Pacchetto Sicurezza del 2009 ha contribuito
a rinvigorire la definizione, riferendosi al reato di “immigrazione
clandestina”[9].
“Clandestino” è perciò diventato sinonimo di “illegale”, quindi criminale,
fuorilegge.
Oggi il termine è ormai di uso comune. È entrato nel vocabolario della politica, dei partiti di destra e anche di sinistra, e la stampa quasi ogni giorno riporta dichiarazioni contenenti la parola "clandestino".
Nelle occasioni in cui viene usata, nel presente, ha perduto quell’immaginario fatto di discrezione e invisibilità degli attori immigrati “clandestini”, per farli esplodere nella loro visibilità[10], ed evocare “invasioni” e “ondate”. L’avvenuta riconoscibilità, l’onnipresenza, e la conseguente tipizzazione, hanno avuto l’effetto di plasmare un’entità collettiva rappresentabile e rappresentata come un pericolo; l’individuo sparisce, al suo posto resta la minaccia.
Nelle occasioni in cui viene usata, nel presente, ha perduto quell’immaginario fatto di discrezione e invisibilità degli attori immigrati “clandestini”, per farli esplodere nella loro visibilità[10], ed evocare “invasioni” e “ondate”. L’avvenuta riconoscibilità, l’onnipresenza, e la conseguente tipizzazione, hanno avuto l’effetto di plasmare un’entità collettiva rappresentabile e rappresentata come un pericolo; l’individuo sparisce, al suo posto resta la minaccia.
Questa dicitura, infine, si può impiegare anche “in
potenza”. Spesso, ancor prima di toccare il suolo, prima cioè che si possa
anche solo applicare quanto vige per legge, il migrante è etichettato come
“clandestino”: “La sensazione è che si possa essere clandestini per natura,
quasi ontologicamente”[11].
Dunque questo abuso è ormai una realtà. La diffusione del termine "clandestino" comporta un livellamento linguistico che non solo non è neutrale, ma che è a tutti gli effetti nocivo, e che permette la normalizzazione di una definizione tutt'altro che innocua.
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[2] Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/clandestino/.
[3] De Mauro: https://dizionario.internazionale.it/parola/clandestino.
[5] Sabatini Coletti: http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/C/clandestino.shtml.
[6] Citazione tratta da un editoriale
della stessa Associazione, La parola “clandestino”
va cancellata dal linguaggio giornalistico, settembre 2018: https://www.cartadiroma.org/editoriale/la-parola-clandestino-va-cancellata-dal-linguaggio-giornalistico/.
[7] Dal Glossario dell’Associazione
Carta di Roma.
[8] Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del
12 marzo 1998.
[9] Legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.170 del 24-07-2009 -
Suppl. Ordinario n. 128.
[10] Cfr. F. FALLOPPA (2011), par.
135-136.
Serena D'Angelo
serenadangelo93@gmail.com
Instagram/Facebook: @sfocature
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